
Il 14 febbraio non porterà solo con sé le celebrazioni di San Valentino, ma anche una svolta significativa nell'ordinamento giuridico italiano. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1269, ha affermato che 'le chat contenute nei cellulari sono a tutti gli effetti corrispondenza', stabilendo nuove norme sulla gestione della privacy in ambito digitale.
In questo contesto, si ribadisce anche, che l'accesso al cellulare o alle conversazioni private dei propri partner non è consentito. Tale condotta è considerata una violazione della riservatezza dei dati personali, tutelata dalla normativa vigente. Pertanto, anche se l'interessato dovesse dare il proprio consenso, tale consenso non può giustificare un accesso indiscriminato a qualsiasi comunicazione del proprio partner senza un provvedimento appropriato che ne consenta esplicitamente la consultazione.
La pronuncia della Cassazione: i punti salienti
La decisione della Corte si inserisce nell’ambito di una precedente pronuncia della Corte Costituzionale, la n. 170 del 7 giugno 2023, che aveva già esteso la protezione della corrispondenza alle forme di comunicazione digitale. Non è però una novità. L’accesso a chat, screenshot e documenti presenti all’interno degli smartphone non è consentito liberamente da altri soggetti terzi nemmeno con il consenso dell'interessato stesso.
La privacy diventa, sempre di più, un vero e proprio diritto oggetto di tutela. Per poter utilizzare tali informazioni, è necessario un provvedimento dall’Autorità Giudiziaria competente, analogamente a quanto previsto per le intercettazioni. Questo principio sottolinea l'importanza della protezione dei dati personali, che si configura come un diritto fondamentale, che deve essere considerato prioritario rispetto ad altre esigenze, comprese quelle legate a indagini preliminari. Inoltre, con questa sentenza, il cellulare del privato viene classificato come un “contenitore di corrispondenza”, portando a una nuova concezione del diritto che garantisce tali comunicazioni sotto l’egida dell’art. 15 della Costituzione italiana.
L'analisi del Caso e i passaggi motivazionali più importanti
La situazione specifica analizzata dalla Corte riguardava un individuo accusato di “spaccio di sostanze stupefacenti”, per il quale la prova si basava anche su messaggi tratti da WhatsApp. Tuttavia, tali messaggi si sono rivelati inammissibili in quanto acquisiti in maniera non conforme agli artt. 253 e 254 del codice di procedura penale, considerando la loro natura di corrispondenza. In questo contesto, la Suprema Corte ha dichiarato che “è indispensabile sottolineare come le garanzie a tutela della riservatezza dei dati memorizzati nel telefono cellulare, in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale n. 170 del 2023, hanno visto ampliare il proprio raggio d’azione attraverso il riconoscimento della corrispondenza anche per le comunicazioni acquisite dopo la loro ricezione”.
Di fatto, tutte le forme di comunicazione, comprese le chat, rientrano nella protezione garantita dalla Costituzione ai sensi dell’art. 15, il quale tutela la libertà e la segretezza della corrispondenza. Si sottolinea che tale protezione può essere derogata esclusivamente mediante un provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria.
Il Principio di Diritto
Il principio di diritto stabilito dalla Corte è privo di ambiguità: “Non è valido il consenso dell’indagato – per evitare possibili abusi – a considerare legittima l’acquisizione di chat dallo smartphone in uso al medesimo, essendo necessaria un’autorizzazione preventiva da parte dell’autorità giudiziaria.” Questo implica che non possono essere effettuati screenshot delle conversazioni, né si possono considerare tali prove come atipiche. In un sistema giuridico che segue il principio di legalità, non si può consentire alla polizia di eludere le disposizioni legislative per adottare misure non standard al fine di ottenere gli stessi risultati delle attività di acquisizione tipiche.
Il Consenso
Un aspetto di rilievo che emerge da questa sentenza è che, anche nel caso di consenso espresso da parte dell’indagato, questo non è considerato sufficiente. La Corte chiarisce che tale consenso potrebbe risultare “viziato” o estorto. È quindi fondamentale che, in situazioni simili, la polizia giudiziaria segua la procedura di sequestro del telefono senza accedere ai contenuti, onde prevenire il rischio di abusi. Il consenso deve sempre essere libero e non può essere indotto da pressioni o intimidazioni.
Il richiamo della Corte
La Corte Suprema richiama esplicitamente un precedente della Corte Costituzionale, noto come la “sentenza Renzi”, riguardante l’acquisizione di comunicazioni elettroniche del Senatore Matteo Renzi da parte della Procura di Firenze, avvenuta senza la necessaria autorizzazione del Senato. In questo contesto, si ribadisce che i messaggi di posta elettronica, le comunicazioni WhatsApp e gli SMS, custoditi all'interno di dispositivi elettronici, mantengono la loro natura giuridica di corrispondenza anche dopo essere stati ricevuti. La reinterpretazione del termine “corrispondenza” quindi amplia il suo ambito di applicazione, estendendosi a qualsiasi tipo di comunicazione di pensiero umano.
Conclusioni
In conclusione, sebbene il rigetto del ricorso con conseguente condanna dell'indagato rappresenti un cambiamento significativo e di rilevante portata, esso porta con sé implicazioni non trascurabili, in particolare nel contesto delle indagini penali. Questo pronunciamento impone infatti un maggiore rispetto della privacy durante le investigazioni, richiedendo una maggiore cautela e una rigorosa osservanza delle normative a tutela dei diritti fondamentali. La sentenza n. 1269 segna quindi una tappa importante nel cammino verso la protezione della comunicazione privata nell'era digitale, dimostrando come il diritto si stia adattando alle nuove realtà sociali e tecnologiche.
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